Parte del gruppo e

Come lo studio del DNA antico ha trasformato l’archeologia

Dall’identificazione di nuove specie umane all'evoluzione di alcune malattie, la capacità di ricostruire antichi genomi rappresenta una svolta per i ricercatori, ma non mancano le questioni etiche.

DI ANDREW CURRY

pubblicato 25-09-2023

Come lo studio del DNA antico ha trasformato l’archeologia

Il DNA recuperato da ossa e denti antichi consente ai ricercatori di ricostruire gli spostamenti delle popolazioni nella storia.

FOTOGRAFIA DI REMI BENALI, NAT GEO IMAGE COLLECTION

Nel 2010, alcuni genetisti danesi hanno raggiunto un importantissimo traguardo: ottenendo frammenti di DNA da ciocche di capelli risalenti alla Groenlandia di 4.000 anni fa e custoditi per decenni in un museo di Copenaghen, hanno ricostruito il primo genoma umano antico completo.

Lo studio è stato il risultato di decenni di lavoro svolto da ricercatori di tutto il mondo, iniziato con i primi incerti tentativi di ottenere materiale genetico dalle mummie egizie negli anni Ottanta. Fino al 2013, il numero di genomi umani antichi recuperati si poteva ancora contare su due mani; ma negli ultimi cinque anni il loro numero è aumentato esponenzialmente, e nell’aprile 2023 è stato pubblicato il 10.000° genoma umano antico. E altre migliaia sono in arrivo.

Il notevole sviluppo della ricerca sul DNA antico – fulcro di una nuova disciplina chiamata paleogenomica – potrebbe essere l’avanzamento più importante per l’archeologia dopo lo sviluppo della datazione al radiocarbonio, avvenuto negli anni Cinquanta. L’anno scorso, il ricercatore pionieristico Svante Pääbo, genetista dell’Istituto Max Planck per l’Antropologia evolutiva di Lipsia, in Germania, ha vinto il premio Nobel con il suo lavoro sui geni di Neanderthal estinti. Ora il DNA antico è diventato uno strumento che ci consente di capire meglio da dove veniamo e dove stiamo andando.

Il perfezionamento del processo

Per recuperare DNA antico dai campioni, i ricercatori prelevano minuscoli pezzetti da ossa, denti o capelli da uno scheletro usando un trapano da dentista o altro strumento simile, e ne estraggono i frammenti di DNA. Duplicando i frammenti di DNA più volte e utilizzando poi i computer per abbinare e riassemblare i piccoli filamenti, come in un puzzle da miliardi di pezzi, i genetisti sono in grado di ricostruire interi genomi.

Il perfezionamento del processo ha richiesto decenni. I primi tentativi di ottenere il DNA da ossa antiche negli anni ‘80 sono stati ostacolati da una serie di problemi, di cui il più grande era la contaminazione: ogni organismo vivente ha un proprio DNA, e in un primo tempo è risultato difficile separare il materiale genetico antico dal DNA moderno. I campioni potevano subire contaminazioni di ogni tipo, dai batteri del suolo che si infiltrano nelle ossa sepolte alla forfora di un tecnico di laboratorio. Le prime affermazioni sulla possibilità di recuperare il DNA dei dinosauri dall’ambra del Cretaceo si sono rivelate troppo ottimistiche e per lo più oggetto di contaminazione e hanno messo così in dubbio l’intero settore.

Pääbo e altri hanno perseverato, sviluppando metodi per eliminare la contaminazione e dimostrare che il DNA oggetto di studio apparteneva effettivamente a individui antichi. Grazie a questo, oggi i campioni di DNA antico vengono prelevati in condizioni strettamente controllate, in stanze pulite e sottoposte a luce ultravioletta, al fine di distruggere i batteri e il loro DNA. I risultati vengono confrontati con banche dati di DNA di specie moderne o di altri campioni antichi, un altro metodo che contribuisce a selezionare e isolare il materiale genetico di fonti diverse.

All’inizio le procedure erano anche molto costose, molto più di quanto la maggior parte degli archeologi e dei paleontologi potessero permettersi; ma con la riduzione dei costi e l’aumento del numero di campioni, questo metodo è diventato un efficace strumento per conoscere meglio il nostro passato. Da evento straordinario che fa notizia, gli studi sul DNA antico si stanno trasformando in uno degli strumenti standard a disposizione di ogni archeologo. Questo ha già portato a una migliore conoscenza delle migrazioni antiche e del funzionamento delle società del lontano passato.

Spostarsi nel tempo

Confrontando il DNA di persone sepolte in epoche diverse ma nella stessa regione geografica, ad esempio, genetisti e archeologi possono seguire i movimenti delle popolazioni. Decine di studi condotti nell’ultimo decennio in varie parti del mondo dimostrano che le migrazioni e gli spostamenti da sempre fanno parte della storia dell’uomo. Ora sappiamo che la popolazione europea per molti millenni è stata dinamica, e che questo continente è stato abitato da popoli molto diversi tra loro, che si sono mescolati e incrociati più volte dall’arrivo dei primi esseri umani moderni, circa 50.000 anni fa. Il DNA antico ha contribuito a dimostrare quando le prime persone sono arrivate nelle Americhe e a collegarle alle popolazioni ancestrali dell’Asia.

Alcune scoperte vanno ancora più indietro nel tempo: confrontando il DNA di individui Neanderthal con quello di persone moderne, ad esempio, Pääbo e il suo team sono riusciti a dimostrare che una piccola parte dell’ascendenza (fino al 5%) degli europei e degli asiatici moderni deriva dai Neanderthal, il che suggerisce che i nostri lontani antenati hanno incontrato e si sono accoppiati con i Neanderthal in qualche momento del passato.

E il DNA permette anche di capire quando: i geni dei nativi dell’Africa subsahariana oggi non contengono DNA di Neanderthal. Ciò suggerisce che gli esseri umani moderni abbiano incontrato i nostri cugini Neanderthal dopo essere emigrati dall’Africa, 50.000 anni fa.

Il DNA antico ha rivelato persino l’esistenza di specie completamente nuove di antenati dell’uomo. Nel 2008 alcuni archeologi hanno recuperato un frammento di osso da una grotta nella Siberia occidentale; hanno stimato che avesse più di 50.000 anni, ma il frammento era troppo piccolo per poter dire di più con i metodi archeologici tradizionali.

Grazie alle basse temperature della grotta siberiana, i ricercatori sono riusciti a estrarre il DNA dall’osso, scoprendo che non si trattava né di un Neanderthal né di un essere umano moderno, ma di qualcosa di completamente diverso: una specie umana ancestrale precedentemente sconosciuta, ora chiamata Homo di Denisova, dal nome della grotta in cui i resti furono inizialmente scoperti.

Il DNA umano è solo la punta dell’iceberg. Le stesse tecniche utilizzate per studiare gli antichi esseri umani hanno permesso ai ricercatori di sequenziare anche il DNA di specie estinte. I geni dei mammut lanosi, degli orsi delle caverne e degli uccelli dodo hanno fornito preziosi sguardi sul passato e una migliore comprensione della biologia dei loro parenti viventi.

Nel frattempo, il DNA batterico millenario permette di risalire alle origini e tracciare l’evoluzione di malattie come la tubercolosi e la yersinia pestis, il batterio che provoca la famigerata peste bubbonica. Inoltre, gli scienziati hanno isolato e identificato i batteri intrappolati nella placca dei denti di antichi scheletri, mostrando cosa questi individui del passato mangiavano, che malattie avevano e in che modo il microbioma moderno differisce da quello dei nostri antenati.

Nuove frontiere e questioni etiche

La prossima frontiera? Estrarre il DNA dalla terra. In un recente studio, gli scienziati sono riusciti a ricostruire quello che era l’ambiente della Groenlandia prima che questa fosse coperta dai ghiacci, identificando il DNA di mammut, renne e oche che popolavano l’isola più di due milioni di anni fa. I ricercatori sperano che il terreno possa presto fornire informazioni anche sulle persone. Il pavimento delle grotte che furono abitate, ad esempio, potrebbe contenere abbastanza DNA da permettere di identificare i loro antichi occupanti.

In particolare, per quanto riguarda il DNA umano, la ricerca si concentra su Europa e Russia, che rappresentano i due terzi dei campioni pubblicati finora. Ciò è dovuto in parte al fatto che i primi studi sono stati svolti perlopiù in luoghi in cui il clima freddo ha consentito una buona conservazione del DNA. Una decina di anni fa, molti ricercatori dubitavano che il DNA antico sarebbe mai stato recuperato dall’Africa, o persino dalle coste del Mediterraneo. Ma con il progresso della tecnica, i ricercatori si dedicano sempre più spesso a siti africani e asiatici per rispondere a importanti quesiti sulle origini e sulla storia dell’uomo.

Questi avanzamenti nella conoscenza genetica e archeologica hanno fatto emergere anche nuove questioni etiche e nuove resistenze. Mentre le persone vive possono offrirsi volontariamente per un tampone delle mucose o un prelievo di sangue per l’estrazione del DNA, l’analisi dei geni dei morti richiede l’asportazione di alcuni decimi di grammo di polvere di ossa o di denti. Questa analisi “distruttiva” dei resti umani viola le credenze religiose di alcuni gruppi. Inoltre, distrugge parte di uno scheletro antico, la risorsa non rinnovabile per eccellenza.

Genetisti, archeologi e comunità di discendenti non sempre sono d’accordo quando si tratta di decidere chi può dare l’autorizzazione per studiare tali resti. Nell’ultimo decennio i critici hanno spinto i genetisti a coinvolgere maggiormente le comunità da cui provengono i campioni sui quali si fa ricerca. Per campionare e pubblicare i geni di persone morte da tempo, affermano, dovrebbe essere chiesto il permesso dei relativi discendenti, prima di iniziare la ricerca. Molti scheletri nelle collezioni museali, inoltre, sono stati acquisiti in circostanze che oggi non sarebbero considerate etiche.

Gli archeologi sostengono che affidandosi al solo DNA antico si rischia di semplificare eccessivamente la preistoria: i geni non possono dirci che lingua parlavano le persone, quali divinità veneravano o come vivevano, ma solo chi erano i loro genitori, i loro nonni e i loro antenati più lontani. Ma abbinato alle tecniche archeologiche più tradizionali, l’esame del DNA di antichi scheletri è un modo molto efficace di studiare il passato.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente in lingua inglese su nationalgeographic.com.