PAGINA DI ANTOLOGIA

 

Andrea Sperelli

(Il Piacere, Libro primo, cap. II)

 

[…] Ma l’espansion di quella sua forza era la distruzione in lui di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a deprimere. Ed egli non si accorgeva che la sua vita era la riduzion progressiva delle sue facoltà, delle sue speranze, del suo piacere, quasi una progressiva rinunzia; e che il circolo gli si restingeva sempre più d’intorno, inesorabilmente sebben con lentezza.

Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: ”Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.” []

 

 

Il Piacere è il primo romanzo di Gabriele d’Annunzio, pubblicato nel 1889.

Il protagonista del romanzo si chiama Andrea Sperelli (probabilmente rappresenta l’alter-ego dell’autore) e viene presentato come “ l’ultimo discendente d’una razza intellettuale”.

Andrea conduce una vita da esteta dopo aver appreso dal padre il “gusto delle cose d’arte, il culto passionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere”. Nonostante questo tipo di vita l’esteta si accorge ad un certo punto di essere un fallito, un vinto perché per seguire determinati valori ne ha persi di vista altri altrettanto importanti. Da qui la presentazione di un esteta come una figura ambigua: da una parte è un eroe dall’altra un inetto. Questo breve testo tratto dal romanzo evidenzia ciò che l’esteta perde nella vita per il semplice fatto di aver scelto un altro tipo di vita. Perciò la superiorità di cui parla il padre non vale anche per l’esteta, perché quest’ultimo è un uomo che automaticamente si distrugge.

D’Annunzio in certo senso vuole dire che il suo progetto, di condurre una vita nel culto della bellezza, è fallito proprio mentre lo stava realizzando. In questo primo romanzo non è ancora presente la teoria superomistica.