"Linguaggi, media e processi educativi"
Tesina svolta nell'ambito di Psicologia dell'Educazione
(prof. Groppo), nell'anno accademico 1996/97
Abstract: Si tratta elaborazione critica sulla prima parte del libro di Olson "Linguaggi media e processi educativi". Olson ritiene che media diversi implichino processi cognitivi differenti, pertanto esamina il modo in cui i vari media inflenzano i processi cognitivi, accentrando però l'interesse sul medium che egli ritiene principale: la lingua orale. Il punto centrale della teoria riguarda la considerazione dell'intelligenza come abilità in un medium specifico.
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Intelligenza come abilità in un medium
La referenza nella teoria semantica
Rapporti parola-oggetto e parola-referente
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"Linguaggi, media e processi educativi" è opera costituita dalla raccolta di cinque saggi, scritti da D.R.Olson nell’arco di circa sette anni (dal 1970 al 1077).
Lo scopo dell’autore è quello di rendere disponibile, principalmente ad un pubblico d'insegnanti, studiosi e studenti di pedagogia e psicologia, una struttura teorica e metodologica che è frutto di numerose ricerche psicologiche sui processi cognitivi. La struttura qui presentata è difficilmente inquadrabile in una teoria unitaria e definita, anche se è indubbio il contributo che essa fornisce alla costruzione di un modello originale dell’acquisizione della conoscenza.
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Olson parte dalla constatazione, sviluppata in ambito sperimentale, che alcuni orientamenti della linea sono di più difficile discriminazione di altri. Ne risulta l’elaborazione di una sorta di gerarchizzazione circa la capacità di distinguere gli orientamenti della linea: sembra essere più facilmente discriminabile l’orientamento orizzontale-verticale, seguito dall’orientamento su-giù, destra-sinistra e, infine, il più complesso è l’orientamento obliquo.
La spiegazione secondo la quale la maggior difficoltà rappresentata dalle linee oblique sia legata al fatto che queste hanno più immagini speculari possibili, non sembra accettabile, poiché la confusione delle immagini speculari, si verifica esclusivamente se s'immagina lo specchio posto sull’asse verticale od orizzontale, non se s'immagina lo specchio posto obliquamente.
Neppure la teoria iconica sembra accettabile, poiché presuppone che chi percepisce possegga una "copia mentale" del modello da confrontare col nuovo stimolo. Se così fosse non dovrebbe essere più difficile discriminare la linea orizzontale da quella obliqua. Al contrario, sembra proprio che colui che percepisce non possieda alcuna copia mentale, ma si limiti a scegliere certe caratteristiche fondamentali del modello in relazione alle alternative presenti. In sostanza, sono scelti quegli elementi di un oggetto che lo distinguono da tutti gli altri oggetti presenti in quel momento nel campo. Quindi, all’inizio di ogni percezione, predomina una sorta d’incertezza e sono ricercati quegli elementi distintivi che ridurranno a zero l’incertezza. Si può pensare che il sistema nervoso sia strutturato in modo tale da rispettare delle priorità e, infatti, si è riscontrato che nel sistema visivo vi sono più cellule predisposte per la discriminazione dell’orientamento orizzontale-verticale di quante non ce ne siano per quello obliquo. Gli elementi distintivi non sono notati per il fatto di rappresentare delle differenze oggettive fra stimoli, ma perché forniscono un’informazione fondamentale per la guida di azioni come il leggere, il camminare...
Gli atti esecutivi sono principalmente guidati da aspetti topologici generali: marginalità e prossimità (saliente nel guidare l’azione del bambino), solo in seguito si sviluppano le proprietà euclidee. Il passaggio dagli aspetti topologici a quelli euclidei, si verifica nel momento in cui il bambino inizia a considerare un numero più ampio di alternative, cioè si rende conto dell’esistenza di più tratti distintivi tra cui discriminare.
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Tutto ciò che percepiamo ha una netta correlazione con la struttura semantica del linguaggio. Ne consegue che persone che parlano lingue diverse (anche dal punto di vista grammaticale, non solo semantico) possiedono quadri diversi della realtà.
Seguendo questa logica, dovremmo riscontrare una maggior facilità di discriminazione linguistica di quegli orientamenti che sono più in alto nella gerarchia della discriminazione percettiva e, infatti, ciò è quello che accade: l’orientamento obliquo presenta più difficoltà di discriminazione anche in campo linguistico. Ciò però non significa necessariamente che la lingua prosegua nello stesso modo gerarchico della percezione: si può imparare una parola che indichi la discriminazione percettiva finale, senza ripercorrere l’iter percettivo in toto.
Fondamentale è comunque tener presente che: " [...] il significato di qualsiasi parola nella gerarchia è l’informazione che essa comunica per discriminare le alternative che sono allo stesso livello nella gerarchia..."
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Il riconoscimento non è mai completo, è sempre in funzione delle alternative presenti.
Quando un bambino impara a discriminare la diagonale (orientamento obliquo), non impara automaticamente a riprodurla: padroneggia quegli elementi che gli permettono di distinguere la diagonale dalle altre alternative presenti, ma nulla di più. Il processo di esecuzione richiede una sequenza di decisioni da prendere momento dopo momento e ciascuna di queste decisioni necessita una certa informazione. Eseguire un’azione comporta informazioni percettive diverse da quelle indispensabili per riconoscere un elemento tra un certo numero di alternative. Questa conclusione permette ad Olson d’introdurre un concetto cardine della sua teoria: quello di medium Per medium Olson intende "[...] una gamma o un campo di attività esecutiva...". Ogni medium richiede un certo tipo di informazione. Per questo motivo, le scelte utilizzate dal medium del linguaggio non sono identiche a quelle degli atti esecutivi, che richiedono media diversi. Solo nella misura in cui medium linguistico ed esecutivo si sovrappongono, è possibile effettuare un transfer dall’uno all’altro.
I medium qui di maggior interesse sono quelli elaborati e trasmessi dalla cultura: disegnare, parlare, scrivere...
Olson muove una critica a Piaget e Inhelder, affermando che essi compiono un errore di giudizio circa il ruolo dell’attività interiorizzata per lo sviluppo della rappresentazione: non è corretto sostenere che l’attività in se è interiorizzata, perché sono i tentativi esecutivi nei vari media che permettono di estrapolare ulteriori informazioni dall’ambiente.
Si può ritenere che l’uso degli utensili di pietra sia stato uno dei primi media che ha consentito lo sviluppo umano. Oggi altri media, come il linguaggio, la scienza e l’arte, giustificano l’ulteriore processo evolutivo della specie umana.
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L’intelligenza come abilità in un medium
Olson propugna l’ipotesi che intelligenza e percezione non siano attività mentali diverse, ma che siano frutto dei diversi contesti in cui nuove informazioni vengono acquisite. La percezione è un processo di selezione delle alternative in attività pratiche, l’intelligenza è determinata dal saper padroneggiare un determinato medium culturale. L’intelligenza è, quindi, l’abilità in un medium culturale. Spesso, nella nostra società, si tende a confondere l’abilità nel medium dominante (la scrittura) con l’intelligenza tout court: "[...] abbiamo confuso la ragione con l’alfabetizzazione, e il razionalismo con una singola tecnologia...". Bisogna considerare che media diversi, sviluppati in culture diverse, hanno determinato modi particolari di percepire la realtà.
Il passaggio dalla percezione all’intelligenza non è determinato dalla nascita di una nuova facoltà mentale, ma è il frutto di un nuovo modo di rapportarsi alla realtà tramite altri media.
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Olson ritiene che, in molti casi, il ruolo dell’esecuzione materiale di un determinato compito possa essere sostituito dall’istruzione, ma non sempre ciò garantisce gli stessi risultati. Il linguaggio è il mezzo più efficace per l’istruzione: questo medium offre a chi ascolta un nuova informazione che permette, in teoria, di distinguere fra le alternative senza bisogno di farne esperienza diretta. Tale affermazione è stata spesso trascurata a causa della convinzione errata che ogni cosa abbia un nome: in realtà ogni cosa ha più nomi e solo il contesto determinerà quale nome, tra le possibili alternative, sia idoneo. E’ proprio per questo che il linguaggio è lo strumento ideale per l’istruzione: esso indica a chi ascolta fra quali alternative si sia elaborata una scelta. Per esempio: un gatto può essere definito "felino" se è necessario distinguerlo da altri animali, oppure può essere indicato come "gatto bianco" se occorre discriminarlo da altri gatti presenti in quel contesto. La scelta dell’uno o dell’altro nome indica implicitamente le alternative fra cui si è scelto.
Quattro sono le limitazioni del medium linguistico:
1) L’insegnante che istruisce deve effettivamente possedere l’informazione necessaria.
2) L’insegnante deve assicurarsi che le alternative da lui considerate siano le medesime dei bambini.
3) Il bambino possiede limitate possibilità di comprensione dei significati e delle implicazioni delle proposizioni logiche.
4) Il medium linguistico è limitato dal tipo d’informazione che può trasmettere. Ad esempio è facile constatare l’inadeguatezza delle parole per descrivere informazioni visive.
In base a quanto riportato sopra, si può quindi dichiarare che il miglio modo d’istruire sia tramite l’avvalersi di più media: linguaggio, disegno, attività motoria...
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La referenza nella teoria semantica
Olson critica la posizione di Chomsky secondo la quale la grammatica è autonoma dal significato e ha un valore primario, poiché il significato non può essere attribuito finché la proposizione non è stata analizzata dalla grammatica. In realtà, come sostiene anche McCawley, la grammatica non può determinare gli aspetti semantici della frase. Olson sostiene che la conoscenza del referente effettivo sia un’informazione semantica. Questo potrebbe essere dimostrato dall’uso dei pronomi. Ad esempio, nella frase "L’uomo uccise l’uomo" un gruppo nominale può essere sostituito da un pronome, a patto che i due gruppi nominali abbiano lo stesso referente effettivo (cioè l’uomo), con il risultato di trasformare la frase in "L’uomo si uccise". Pertanto: "[...] la decisione semantica è basata sulla cognizione, sulla conoscenza del referente effettivo, non sulle regole interne della lingua".
L’ipotesi di Olson è inoltre utile per spiegare anche l’ambiguità, la parafrasi e l’anomalia
- Una frase non ambigua è quella che lascia libere alcune alternative, cioè che non specifica completamente il referente effettivo. L’unico modo per individuare non ambiguamente il significato di una parola è di conoscere tutte le alternative e il contesto.
- La parafrasi è una frase che indica lo stesso referente specifico bene quanto l’enunciato che essa sostituisce. Ciò è possibile se si riconosce il riferimento comune ad un referente effettivo.
- Si realizza un’anomalia nel momento in cui l’ascoltatore non è in grado di immaginare una situazione nella quale una certa proposizione identificherebbe un referente effettivo. Quindi l’anomalia è tale o meno in relazione alle conoscenze già possedute dall’ascoltatore, conoscenze sia reali che immaginarie (es.: cavallo volante).
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Rapporti parola-oggetto e parola-referente
E’ logico ritenere che esista un mediatore fra la parola e l’oggetto che designa: tale mediatore è il significato, ovvero l’esperienza di percepire dei referenti in un particolare contesto. Poiché il significato di una parola è derivato dall’esperienza psicologica in un contesto, è praticamente impossibile che due referenze siano del tutto simili. "[...] Le parole sono rilevanti per uno scopo o situazione, e conseguentemente sono applicabili solo ad un campo ristretto...". Le parole non stanno per le cose, esse designano un certo referente effettivo nel contesto delle alternative da cui deve essere differenziato. Ne consegue che nessuna proposizione può esaurire tutte le potenziali caratteristiche di un referente. Inoltre, poiché la parola indica implicitamente anche le alternative fra cui si è scelto, essa contiene più informazione della percezione dell’evento stesso.
Colui che parla deve inferire le alternative prese in considerazione da chi ascolta e, se l’oratore non riesce a ridurre il numero delle alternative, si aspetta che l’ascoltatore intervenga, in modo da concordare sul referente effettivo.