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AUDIOVISIVI E CINEMA NELLA PRATICA
DIDATTICA
di Giovanna Gliozzi
(n.3, 15 dicembre 2003)
Il pregiudizio che audiovisivi e cinema costituiscano un diversivo, un "a parte" del patrimonio culturale e dunque di ciò che "è bene fare a scuola" è ancora molto diffuso.
Il fenomeno è particolarmente bizzarro visto che (giusto per stare in tema)
da molti decenni i verbi informare, documentare, narrare vengono coniugati nella
grammatica del linguaggio audiovisivo forse più che in qualsiasi altra
grammatica.
Quale "forma" di descrizione e di rappresentazione del reale è
più "sostanziale" e "trasversale" di quella veicolata nella quotidianità dai
prodotti audiovisivi?
Quali merci - soprattutto economicamente parlando -
sono più significative oggi, ma ovviamente fin dagli albori, delle tecnologie
della ripresa/proiezione/trasmissione e dei loro prodotti multimediali?
E se
è ormai assolutamente scontato che il medium è il messaggio, è mai possibile che
un analfabeta nei linguaggi audiovisivi possa leggere e interpretare
correttamente e criticamente i loro pervasivi messaggi?
Di più: poiché i
concetti di validazione e falsificazione del messaggio sono stati rimessi
radicalmente in discussione dallo statuto dei linguaggi audiovisivi, è mai
possibile impostare qualsiasi ragionamento sui paradigmi della conoscenza
nell'epoca della riproducibilità tecnica senza conoscere la peculiarità e le
trasformazioni di tale statuto?
A scuola ci sentiamo spesso innovativi se illustriamo un buon racconto con un
bel film.
Cadendo spesso, peraltro, in pericolose confusioni linguistiche,
estetiche ed ideologiche in tema di "traduzioni" e "tradimenti".
O peggio
facciamo Storia con i film, cioè con racconti di racconti: il massimo tradimento
del concetto scientifico di "fonte".
Difficilmente pensiamo invece alla
datazione della tecnologia di ripresa o alle suggestioni
(autentiche/in-autentiche) dell'ambiente o del paesaggio in cui il racconto è
stato "costruito" come fonti di analisi storiografica.
Pensiamo ai film come
parenti della letteratura o al massimo delle arti figurative e raramente
pensiamo ai film come testi sociologici, economici, filosofici,
ecc..
Inorridiamo della televisione: un demone che prolifera per generazione
spontanea, da esorcizzare. Invece è "creatura" terrena e storica, e dunque per
definizione fenomeno complesso, contraddittorio ma "dato" e perciò stesso da
comprendere, decrittare, fruire consapevolmente.
Ci lamentiamo, sconsolati,
delle sempre crescenti difficoltà che incontrano i nostri ragazzi con la parola
scritta e parlata e pronunciamo la diagnosi: indigestione di immagini. E allora
via con i recuperi caparbi sulla scrittura e l'oralità.
E se invece cominciassimo a scrivere con la videocamera? O almeno a capire
come si fa ad immaginare per immagini?
Insegniamo a leggere, cioè a
interpretare, mille tipologie testuali e dunque insegniamo le astuzie retoriche
del linguaggio naturale, ma non insegniamo a leggere, cioè ad interpretare, le
astuzie retoriche dei linguaggi audiovisivi e multimediali.
Insegniamo la
fisica dell'ottica ma molto raramente le sue applicazioni tecnologiche e le
rivoluzioni cognitive che ne sono derivate nel campo della
percezione/rappresentazione.
Insomma evochiamo impauriti il diavolo e gli attribuiamo la responsabilità di molti mali, ma gli spruzziamo addosso l'acqua santa della tradizione invece che invitarlo a sedersi in mezzo a noi, ascoltarlo, osservarlo, mangiare e bere con lui come diligenti antropologi nella caverna (platonica) di un civilizzatissimo selvaggio.