All’Automobile da corsa di Filippo Tommaso Marinetti Veemente dio d’una razza d’acciaio, Automobile ebbra di spazio, che scalpiti e fremi d’angoscia rodendo il morso con striduli denti Formidabile mostro giapponese, dagli occhi di fucina, nutrito di fiamma e d’olî minerali, avido d’orizzonti, di prede siderali Io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente, scateno i tuoi giganteschi pneumatici, per la danza che tu sai danzare via per le bianche strade di tutto il mondo! Allento finalmente le tue metalliche redini, e tu con voluttà ti slanci nell’Infinito liberatore! All’abbaiare della tua grande voce ecco il sol che tramonta inseguirti veloce accelerando il suo sanguinolento palpito, all’orizzonte Guarda, come galoppa, in fondo ai boschi, laggiù! Che importa, mio dèmone bello? Io sono in tua balìa! Prendimi! Prendimi! Sulla terra assordata, benché tutta vibri d’echi loquaci; sotto il cielo accecato, benché folto di stelle, io vado esasperando la mia febbre ed il mio desiderio, scudisciandoli a gran colpi di spada. E a quando a quando alzo il capo per sentirmi sul collo in soffice stretta le braccia folli del vento, vellutate e freschissime Sono tue quelle braccia ammalianti e lontane che mi attirano, e il vento non è che il tuo alito d’abisso, o Infinito senza fondo che con gioia m’assorbi! Ah! ah! vedo a un tratto mulini neri, dinoccolati, che sembran correr su l’ali di tela vertebrata come su gambe prolisse Ora le montagne già stanno per gettare sulla mia fuga mantelli di sonnolenta frescura, là, a quel sinistro svolto Montagne! Mammut in mostruosa mandra, che pesanti trottate, inarcando le vostre immense groppe, eccovi superate, eccovi avvolte dalla grigia matassa delle nebbie! E odo il vago echeggiante rumore che sulle strade stampano i favolosi stivali da sette leghe dei vostri piedi colossali O montagne dai freschi mantelli turchini! O bei fiumi che respirate beatamente al chiaro di luna! O tenebrose pianure! Io vi sorpasso a galoppo! Su questo mio mostro impazzito! Stelle! mie stelle! l’udite il precipitar dei suoi passi? Udite voi la sua voce, cui la collera spacca la sua voce scoppiante, che abbaia, che abbaia e il tuonar de’ suoi ferrei polmoni crrrrollanti a prrrrecipizio interrrrrminabilmente? Accetto la sfida, o mie stelle! Più presto! Ancora più presto! E senza posa, né riposo! Molla i freni! Non puoi? Schiàntali, dunque, che il polso del motore centuplichi i suoi slanci! Urrà! Non più contatti con questa terra immonda! Io me ne stacco alfine, ed agilmente volo sull’inebbriante fiume degli astri che si gonfia in piena nel gran letto celeste!